Proverbi piemontèis/t
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[modifiché]- T'a vnèissa na gòba dëdnans e daré! = "Ti venisse una gobba davanti e dietro!".
- Tabaleuri = Minchione. Originariamente il tabaleuri era il suonatore di timpani, ma nel linguaggio popolare è diventato il minchione, lo scemo
- Taborèt da piano = "Sgabello da pianoforte". Lo sgabello rispetto alla sedia o alla poltrona è decisamente più basso e viene talvolta usato anche per poggiarci i piedi, quindi un mobile umile che si presta a paragoni denigratori: indica in senso spregevole una persona di bassa statura.
- Taca bòrgno! = Cieco, comincia a suonare! (I musicisti ambulanti avevano spesso un uomo cieco a suonare la fisarmonica).
- Taca bòrgno, ch'a seurto da la Fiat! = "Attacca, cieco, che escono dalla Fiat". Cercare di approfittare della situazione più favorevole come un tempo i mendicanti all'uscita degli operai della Fiat.
- Taché boton = "Attaccare bottone". Si dice di chi rivolge la parola a una persona che non conosce, trattenendola in conversazione. Se è nei confronti di una donna, può sottintendere lo scopo di corteggiarla. Non è nota l'origine della locuzione, anche se in origine significava parlar male di qualcuno. L'immagine suggerita potrebbe anche essere quella del seccatore che, quasi afferrando fisicamente per la giacca il riluttante interlocutore, non lo molla finché non sia riuscito a ricucirgli un immaginario bottone.
- Taché briga = "attaccare briga", eccitare una disputa.
- Taché ij fastidi ( o ij sagrin) al batòcc (ëd l'uss) = "Attaccare i fastidi al battacchio", lasciarli fuori dalla porta.
- Taché 'l capel al ciò = "Attaccare il cappello al chiodo". Nella società patriarcale, il cappello era un indumento soprattutto maschile e di notevole pregio. Quando un uomo trovava una moglie benestante e andava a vivere a casa sua, di fatto appendeva il cappello al chiodo, in quanto non avrebbe più avuto problemi per il futuro. Da notare il rafforzativo usato: nella stessa locuzione fanno a gara attaccare e attaccato
- Taché l'ansin = "Attaccare l 'uncino". In senso figurato e popolare indica chi compie l'atto sessuale: il fallo maschile viene paragonato ad un uncino al quale resta impigliato l'organo femminile.
- Taché tacà ai dij = "attaccare attaccato alle dita, appiccicarsi alle dita": Si dice di cosa che dà fastidio, che dispiace, che scoccia, spesso riferito ad occasioni perdute. Come di colla appiccicosa sulle dita, che dà fastidio e di cui è difficile liberarsi.
- Tachesse al tram = "Attaccarsi al tram". L'espressione trova la sua origine nella possibilità per i passeggeri dei più lenti tram del passato di viaggiare, in ogni caso più scomodamente, restando aggrappati alle strutture esterne, specialmente avendolo "preso al volo", giunti che già partiva o in un passaggio a bassa velocità del mezzo = al tempo operazione consentita.: va intesa come la risposta spregiativa di chi invece un posto regolare era riuscito a raggiungerlo. Oggi l'espressione è utilizzata in senso figurato per indicare la situazione di chi si vede costretto a rinunciare a un obiettivo, per non aver raggiunto le condizioni necessarie a ottenerlo = per esempio, chi è arrivato fuori tempo massimo a un impegno e vi deve rinunciare o perde il proprio turno o ne viene escluso.. Equivale a "scordarselo", "ormai poterselo dimenticare" e via discorrendo.
- Tachiss = "Appiccicaticcio". Si dice di persona appiccicaticcia, da cui il modo di dire Tachiss = o tacant.come l'apèis = attaccaticcio come la pece.
- Tafanari = Deretano. Le mucche hanno sempre un nugolo di insetti che ronzano attorno al loro sedere. Tra questi anche i tafani, insetti simili alle mosche ma più grandi e fastidiosi: da qui il detto tafanari per indicare il deretano. E non solo quello animale.
- Tajà con ël piolèt = "Tagliato con l'accetta". Costruito o realizzato in modo rozzo, senza nessuna cura, con poca attenzione per le rifiniture. Il detto può essere riferito in genere a un lavoro, così come a una persona, ne definisce il carattere rozzo o l'aspetto fisico spigoloso.
- Tajé com as ës-ciàira = "tagliare come ci si vede": Non tagliare per nulla. Si dice riferito a coltelli o forbici che non tagliano (a tajo com a s-ciàiro = tagliano come ci vedono.
- Tajé ij patin a tuti = Parlare male l'uno dell'altro [vedi spiegazione]
- Tajé ij patin = "Tagliare le pattine". La pattina serve su pavimenti incerati per evitare di rovinare la lucidatura con il cuoio delle scarpe. "Tagliare le pattine" sta per sparlare, soprattutto alle spalle l'uno dell'altro. facendoti "inciampare" agli occhi altrui. D'altro canto, se ci sono dei forestieri, niente di più bello che raccontare tutti i difetti e le beghe degli altri, aggiungendo magari di più di quel che è, basta che possa essere plausibile.
- Tajé la testa al tòr = "Tagliare la testa al toro". Questa locuzione, che viene usata anche in italiano, nasce da un racconto popolare che narra di un toro che infilò la sua testa in una giara, senza più riuscire ad uscirne. Il proprietario dell'animale, che non voleva rompere la giara per liberare il toro, chiese consiglio a un amico e questi non trovò soluzione migliore che tagliare la testa al bovino, salvando però la giara. Da questa novella si può dedurre il significato figurato dell'espressione: adottare una soluzione netta e definitiva, ma anche prendere una decisione drastica, anche se può comportare una rinuncia o un danno.
- Tajé l'aria con le ciape dël cul = "Tagliare l'aria con le chiappe del culo". Si tratta di un modo di dire alquanto pittoresco che rende bene l'idea di chi ha le gambe in continuo movimento, talmente veloci che il sedere riesce a tagliare metaforicamente l'aria. In senso figurato indica, pertanto una persona veloce, agile, molto dinamica.
- Tajeje le gambe a un = "Tagliare le gambe a qualcuno". All'origine, questa locuzione significava "stroncare qualcuno", oppure "bloccare in modo deciso una situazione", proprio perché se si tagliano le gambe a una persona gli si preclude la mobilità. In seguito, però, l'espressione si è fatta decisamente più figurata e il significato è diventato quello di "sparlare, criticare qualcuno alle spalle"
- Tajesse ij cojon për fé dispet a la fomna = "Tagliarsi i testicoli per fare dispetto alla moglie".
- Tajesse j'onge dij pé sensa gavesse le scarpe = "Tagliarsi le unghie dei piedi senza togliersi le scarpe"
- Tajesse j'onge dij pé senza gavesse le scarpe = "Tagliarsi le unghie dei piedi senza togliersi le scarpe". Parrebbe un'operazione di magia, tagliarsi le unghie senza sfilarsi le scarpe, ma se queste ultime sono rotte in punta, allora diventa un'operazione possibile. Il detto, con un giro piuttosto arzigogolato di parole, ci descrive una persona estremamente povera.
- Tajesse 'l nas për sporcheje la camisa a j'àutri = "Tagliarsi il naso per sporcare la camicia agli altri", fare una cosa poco furba.
- Talop = "Asse per la polenta". Viene usato per indicare persone vane, vuote, che valgono poco, così con un asse che viene tenuto costantemente riposto in una madia per essere utilizzato unicamente per versarci sopra la polenta per servirla a tavola.
- Tan a val mangé na fiësca d'aj coma mangene na testa = "Tanto vale mangiare uno spicchio d'aglio come mangiarne uno intero". Il risultato non cambia!
- Tant a fà mal col ch'a ten che col ch'a scòrtia = "Tanto fa male chi tiene come chi scortica".
- Tant a j'é dal pont a l'acqua coma da l'acqua al punt = "C'è tanto dall'acqua al ponte come ce n'é dal ponte all'acqua".
- Tant a l'é col ch'a roba coma col ch'a ten ël sach = "Tanto è chi ruba come quello che gli tiene il sacco", la complicità.
- Tant a l'ha 'd fastidi chi ch'a dev presté coma chi a deuv rende = "Tanto ha dei fastidi chi deve prestare come chi deve rendere".
- Tant l'amor coma la mnestra 'd faseuj a veulo në sfògh = "Tanto l'amore quanto la minestra di fagioli vogliono uno sfogo".
- Tanta nèbia 'd mars, tanti temporaj d'istà = "Tanta nebbia a marzo, tanti temporali d'estate".
- Tanta pen-a a 'nlevé Madlen-a e peuj dèjla a un ch'i soma gnanca parent = "Tanta pena per allevare Maddalena e poi darla a uno che non ci è neanche parente!". La malinconia nel vedere andarsene sposa la propria figlia.
- Tanta tèra a rend pòch, pòca tèra a rend tant = "Tanta terra rende poco, poca terra rende tanto"
- Tante còse ch'as guasto longh al dì, as rangio la sèira = "Tante cose che si guastano lungo il giorno si aggiustano la sera".
- Tante vòte as fan ëd bisarìe për ëd còse da fé rije = "Tante volte si fanno delle sciocchezze per delle cose che fanno ridere".
- Tanti sòld, tanti fastidi = "Tanti soldi, tanti fastidi".
- Tarantolé come na bissa copera = "Barcollare con una tartaruga", quando una persona cammina barcollando, forse perché ha bevuto troppo.
- Tarissé nen ël caval s'i veule nen esse mordù = "Non stuzzicate il cavallo se non volete essere morsi".
- Tas la ganassa! = "Taci la ganascia". La ganascia in questione è mascella e il termine si rifà al basso latino ganathus che proprio indica la parte della bocca utilizzata non soltanto per masticare, ma anche per parlare. Far tacere la ganascia in senso imperativo equivale dunque a "stai zitto!".
- T'avnèissa na gheuba dnans e un-a daré = "Che ti venisse una gobba davanti e una dietro"!
- Temp dij Sant, temp ëd Natal = "Tempo dei Santi, tempo di Natale" = il tempo che c'è al primo di novembre sarà quello di Natale.
- Temp, vent, fomne e fortun-a a vòlto e a torno com a fà la lun-a = "Tempo, vento, donne e fortuna si voltano e ritornano vome fa la luna". Sono cose cicliche.
- Tempesté an sla stobia = Tempestare sulla stoppia". Una volta che è avvenuta la mietitura e nel campo di grano sono rimaste soltanto le stoppie ai contadini poco importa che grandini sul loro terreno: il raccolto è salvo. Quindi, in senso lato, ricevere un danno solo apparente, scampare a una disgrazia, non essere toccati nel marasma.
- Ten-e el luv për j'urije = "Tenere il lupo per le orecchie": essere padrone della situazione.
- Ten-e l bonbon àut = "Tenere il dolcetto in alto", allettare, come si addestrano i cani.
- Ten-e la dragea àuta = "Tenere i pallini di piombo alti". Chi spara in alto, prima di mirare al bersaglio e fare centro, soltanto per il gusto di far sospirare una cosa al prossimo, si dice sia una persona con la puzza sotto il naso, che vuole far cadere dall'alto un favore.
- Ten-e man = tener mano, essere complice.
- Tënner coma la quajà = "Tenero come il latte cagliato".
- Ten-se ai branch = "tenersi ai rami": Essere prudenti, fare attenzione.
- Tension, Bastian, vòlt-me nen la frità = "Attenzione, Bastiano, non rigirarmi la frittata", non cercare di cambiare discorso.
- Tërdòch = Balbuziente. Tërdoché significa balbettare, dire stupidaggini. Da qui questo epiteto che indica non solo i balbuzienti ma in senso metaforico anche coloro che parlano a vanvera o che sono logorroici.
- Terèn an man al fitàvol, terèn an boca 'l diav = "Terreno in bocca al fittavolo, terreno in bocca al diavolo". Diffidare dai fittavoli.
- Testa 'd còj = "Testa di cavolo", persona poco intelligente, che non capisce bene le cose, o anche testarda e cocciuta.
- Testa 'd cossa! = Testa di zucca! Zuccone!
- Testa 'd mat a 'mbianca mai = "Testa matta non incanutisce mai".
- Testa 'd piciòca = "Testa di feccia". Piciòca indica feccia, il deposito di un liquido putrito, quindi questo epiteto sta ad indicare una testa matta, ma anche una persona balorda e inattendibile che agisce in modo scriteriato.
- Testa 'd rol = "Testa di rovere", testa dura.
- Testa d'arabich = "Testa d'alambiceo". Qualcuno, erroneamente, lo vorrebbe "testa d'arabo", ma in realtà il legame originario è l'alambicco, la cui testa sta sotto il collo. Quindi il significato è di testa balzana, stramba, stravagante, proprio come un alambicco
- Testa d'armistissio! = "Testa di armistizio!". Sospensione delle ostilità concordata tra due parti belligeranti. Di fatto non si è trovato un accordo, ma in ogni caso si sono cessate le ostilità prima di sedersi ad un tavolo di pace. Chi è figlio di un armistizio non può che avere una testa quadra, tipica di chi sceglie la carriera militare e pertanto e anche un po' duro di comprendonio.
- Testa d'articiòch! = Testa di carciofo!
- Testa grisa e pensé biond: mal d'acòrdi = "Testa grigia e pensieri bondi: brutto accordo", quando un anziano ha ancora pet la testa belle bionde.
- Testa mata bon cheur = "Testa matta, buon cuore".
- Testa quadra = "Testa quadra": persona ostinata e eclettica.
- Testa viròira = Testa "viròira". Con la voce viròira o virera.si indicava l'addetta che girava l'aspo nella filatura dei bozzoli. Il suo era un gesto costante e ripetitivo, tanto da diventare un'espressione che indica una persona dal cervello incostante e mutevole, dunque poco affidabile.
- Teste montagnin-e teste fine = "Teste di montanari, teste fine".
- Tì parla mach quand che le galin-e a pisso = Tu parla solo quando le galline pisciano.
- Tiré 'd pàuta a la lun-a = "Tirare fango alla luna", non poterci fare niente", oppure quando "si è protagonisti di una protesta inutile".
- Tiré 'd rafa = "Tirare di raffa". Chi "tira di raffa" sa rubare abilmente, con astuzia.
- Tiré dë sfris ="tirare di sfregio": satireggiare.
- Tiré giù 'd Madòne = "Tirare giù delle Madonne", bestemmiare, imprecare. Può essere anche: Deurbe 'l lìber dle giaculatorie = aprire il libro delle giaculatorie. Di le litanìe = dire le litanie.; Spataré 'l rosari = spandere il rosario. In una sola parola: Sagratoné, Bosaroné, Sachërdoné, Cristoné, Sacramenté.
- Tiré ij caussèt = "Tirare i calzini". Quando si moriva un tempo il beccamorto mordeva l'alluce del defunto per constatare che fosse davvero passato a migliori vita. Nel fare ciò tirava i calzini del malcapitato. Da qui il detto ironico e che in qualche modo cerca di sfatare il trapasso.
- Tiré ij caussét = morire.
- Tiré ij rè = "Tirare i re". Per stabilire le coppie a scopa o altri giochi di carte, la tradizione vuole che si tirino i re: in pratica i due giocatori che per primi estraggono dal mazzo due re giocano assieme.
- Tiré 'l còl = "Tirare il collo". Deriva dal modo più comune per uccidere i volatili da cortile. Viene usato anche come minaccia scherzosa. In senso lato, mettere in grave difficoltà economica, e se riferito a un meccanismo e in particolare a un motore, costringerlo a sforzi molto alti. Nel caso di una bottiglia significa invece stapparla, e generalmente berla tutta
- Tiré 'l cordin = "Tirare il cordino". Cordin è lo spago, ma gergalmente è detto anche l'informatore della polizia. Chi lo tira, dunque, fa la spia.
- Tiré 'l giovi = "Tirare il giogo". Il giogo è l'attrezzo di legno che si pone al collo dei bovini per attaccarvi il carro o l'aratro. Questo obbliga l'animale a chinare la testa, soprattutto sotto lo sforzo del tirare, e forse nasce da qui il senso figurato del giogo come simbolo di sottomissione, assoggettamento, ma anche di grande fatica. Per estensione, il termine è tradizionalmente usato anche per fare riferimento all'unità operativa, generalmente una coppia di buoi.
- Tiré 'l pet glorios = Fare l'ultimo peto, morire!
- Tiré 'l ridò = "Tirare la tendina". Quando si chiudono la tende di casa è per occludere la propria vista agli altri, con i propri gesti, ma anche i propri discorsi. Tirare la tendina in senso figurato significa proprio tacere qualcosa al prossimo.
- Tiré 'l ròch = "Tirare il sasso". È probabile che questa locuzione abbia qualcosa da spartire con quella italiana Tirar sassi in piccionaia che viene usata in senso metaforico con il significato di "disturbare, provocare". D'altro canto se si lancia una pietra nella cassetta dei colombi si provoca sicuramente scompiglio. In modo più esteso, invece, il lancio di un sasso ha un significato provocatorio: che si tratti di lanciarli contro i vetri, in uno stagno, verso qualche persona. In senso metaforico viene usato quando si fa una proposta azzardata o un'azione che provoca una reazione.
- Tiré la carëtta = "Tirare la carretta". Questa locuzione viene usata anche in italiano e parte dalla considerazione che a tirare la carretta sia un cavallo o un asino. Se all'animale si sostituisce l'uomo l'immagine che se ne ha è di una situazione di chi è incatenato al lavoro con tutti i sacrifici e le frustrazioni del quotidiano.
- Tiré la pera e sconde la man = "Tirare la pietra e nascondere la mano". Questo modo di dire è diventato anche un proverbio riferito agli abitanti di San Damiano d'Asti che pare siano stati anticamente protagonisti di un episodio di cui rifiutarono la paternità: Coj ëd San Damian a tiro la pera e a stërmo la man = quelli di San Damiano lanciano al pietra e nascondono la mano.. In senso metaforico significa, dunque, negare di aver commesso un'azione, in genere poco onorevole o dannosa per qualcuno. Anche provocare situazioni sgradevoli e fingere di esserne all'oscuro, eventualmente unendosi alla deplorazione generale. Oppure agire di nascosto, magari a tradimento, o indurre altri a farlo in propria vece; danneggiare qualcuno badando bene a non esporsi.
- Tiré le busche = "Tirare i fuscelli". In passato era una pratica comune quando due o più persone non riuscivano a trovare un accordo ragionevole e si finiva per lasciare decidere alla sorte. Lo si faceva pescando da un piccolo fascio di fuscelli d'erba, o di paglia. Di solito perdeva chi estraeva il fuscello più corto. In senso figurato significa semplicemente "sorteggiare".
- Tiré le sòche 'nt l'uss = "Tirare gli zoccoli nell'uscio". Nel Canavese, un rito antico voleva che la ragazza da marito il giorno dell'Epifania si ponesse ad una certa distanza e lanciasse uno zoccolo contro l'uscio di casa. Se la punta cadeva rivolta verso l'entrata, si diceva che si sarebbe sposata entro l'anno, in caso contrario: Ciàu Nineta. Un altro rito contadino, prevedeva invece che a mezzanotte del 31 dicembre si tirassero gli zoccoli contro l'uscio di casa, quasi a voler allontanare l'anno vecchio, accogliendo sonoramente il nuovo. Nel corso degli anni si è instaurato un ulteriore collegamento, fra la fine dell'anno e la morte in generale. Quindi il significato esplicito dell'espressione è "morire".
- Tireje lustre = Essere in miseria, con i vestiti lustri e logorati.
- Tireje vërde = "tirarle verdi": Essere povero in canna, essere in serie difficoltà economiche, mancare del necessario.
- Tiresse 'd pugn fin-a da un Sant = "Attirarsi pugni persino da un Santo". Il santo è per antonomasia capace di fare solo del bene e da qui nasce questo modo di dire che sta per "inimicarsi tutti": in effetti chi riesce a far perdere la pazienza a un santo, difficilmente riuscirà ad avere degli amici.
- Tiresse la brasa an sij pé = "Tirarsi la brace sui piedi". È l'equivalente dell'italiano Darsi la zappa sui piedi. Per apprezzare la locuzione occorre ritornare al vecchio mondo contadino, in cui ci si scaldava con i camini e nella fredda stagione si maneggiava la brace con le molle. Chi sbadatamente lasciava cadere tizzoni sui propri piedi finiva ovviamente per fare il proprio danno: concetto ampiamente usato in senso metaforico.
- Tiresse sù le braje = "Tirarsi su i pantaloni", tornare ad avere una certa dignità dopo un periodo e e economicamente difficile.
- Tirme nen la giaca = "Non tirarmi la giacca". Nasce dall'abitudine giocosa dei bambini di tirare la giacca da dietro in maniera scherzosa per farsi gioco degli adulti. In senso metaforico sta dunque per "non prendermi in giro, non deridermi"
- Tìsich = Tisico. Fino alla scoperta della penicillina, la tubercolosi mieteva molto vittime e il solo essere pallido ëd emaciato poteva valere la terribile associazione che ancor oggi viene usato in senso denigratorio e cattivo. Tìsich in gergo è anche sinonimo di "magro, debole".
- Tnì a batésim = "Tenere a battesimo". Il rito cattolico prevede al momento del battesimo la presenza di un padrino e di una madrina che accettano la fede cattolica a nome del battezzando e s'impegnano a favorire la sua educazione religiosa. Nello stesso tempo s'impegnano inoltre ad aiutare il figlioccio in caso di necessità anche materiali, in quanto si considerano sostituti del padre e della madre. Letteralmente, fare da padrino o da madrina durante il rito del battesimo. In senso figurato, inaugurare, dare il primo impulso a un'impresa, un'attività o simili; anche assistere all'esordio di qualcuno che si è aiutato a emergere.
- Tnì bordon = "Tenere bordone". Il detto si rifà al bordone musicale, vale a dire il suono grave e continuo emesso soprattutto dagli strumenti antichi come accompagnamento alla melodia. Da qui l'espressione che significa: assecondare o fiancheggiare qualcuno da imprese che talvolta risultano essere poco corrette.
- Tnì la coa = "Reggere la coda". L'espressione si rifà a quei tempi in cui i signori indossavano abiti sfarzosi ed esisteva la figura del "caudatario", colui che aveva la mansione di tenere sollevato il lungo strascico. In senso metaforico chi è pronto a reggere l'estremità dell'abito al prossimo è un personaggio che si comporta in modo servile.
- Tnì la lenga an cà e ij man an sacòcia = "Tenere la lingua a casa e le mani in tasca.
- Tnì la man a ca e la lenga daré dij dent = "Tenere la mano a casa e la lingua dietro i denti", mai colpire né con le parole né con le mani.
- Tnì l'ànima con ij dent = "Tenere l'anima con i denti". È la tipica espressione riferita ad una persona con l'aria malaticcia, che pur di non morire tiene l'anima stretta fra i denti.
- Tnìsse ai branch = "Tenersi ai rami". Indica prudenza: fare attenzione, cercare di restare a galla, appigliarsi agli estremi rimedi. Dal detto francese "S'accrocher aux branche".
- Toca mangé pan, saliva e cotel = "Bisogna mangiare pane, saliva e coltello", estrema povertà.
- Toca nen can ch'a rusia e giogador ch'a perda = "Non toccare cane che rosicchia né giocatore che perde".
- Toca nen slonghesse pì longh ch'a l'é longh ël linseul = "Non bisogna allungarsi più di quanto dia lungo il lenzuolo". Non fare il passo più lungo della gamba.
- Toca penseje prima për nen sospiré dòp = "Bisogna pensarci prima per non sospirare dopo".
- Toca pijelo con le mòle = "Bisogna prenderlo con le molle", maneggiare con cautela.
- Toca savèj da che pé un a sòpia = "Bisogna sapere da che piede uno zoppica", riconoscere i punti deboli dell'avversario.
- Toché con man = toccar con mano, accertarsi.
- Tocme nen ch'am pias = Non toccarmi, che rischia di piacermi!
- Torna a ca s'it peule = "Torna a casa se puoi", un gironzolone, una persona che è sempre fuori casa e al quale si domanda di fare ritorno alla sua dimora.
- Torné a bomba = "Tornare a bomba". L'espressione risalirebbe al Medioevo quando i ragazzini giocavano ad una sorta di nascondino detto "Bom!" che era, appunto, l'espressione usata da chi si metteva in salvo. La parola si è poi trasformata in bomba e ancor oggi, in molti giochi di gruppo, essa rappresenta il punto d'inizio del gioco stesso dal quale si parte per cercare gli avversari.
- Torolo = Citrullo. La voce deriva dall'etimo alpino touroulho che sta ad indicare una persona lenta. Da qui l'epiteto rivolto a una persona lenta di comprendonio e pertanto allocco, babbeo, credulone
- Tòta con un përtus da madama = "Signorina con un buco da signora", una ragazza di facili costumi, che nonostante sia ancora da sposare non è più illibata.
- Tòta fenestrera, pòch meinagera = La ragazza che sta troppo alla finestra non è una buona massaia.
- Tòte, vigne e giardin a venta guardeja bin = "Ragazze, vigne e giardini bisogna tenerle d'occhio bene".
- Tótista, òm ed cartapista, le tòte, o stòrte o drite, o giovo o veje, o bele o brute, o grande o cite, a chiel a-j piaso tute!
- Tra face smòrte, men-o brava gent che tra face colorà = "Tra facce smorte, meno brava gente che tra facce colorite".
- Tra galantòm, na paròla a val pì che në strument = "Tra galantuomini una parola vale di più che un contratto".
- Tra ij dódes apòstoj a-i é stàje 'n Giuda = "Tra i dodici apostoli vi è stato un Giuda".
- Tra na bala e l'àutra = "Tra una frottola e un altra", quando si indica qualcuno che perde tempo, raccontando una frottola dopo l'altra. Evoca pertanto il vano chiacchiericcio, che non porta a nulla, e ad uno spreco di tempo.
- Tram e fomne corje nen dapress = A tram e donne non correrci mai dietro".
- Tramulé come una feuja = "Tremare come una foglia". Basta un alito di vento per far muovere le foglie sugli alberi. In senso figurato sta per tremare, ma soprattutto per la paura, ancor più che per il freddo. Il fatto che si accosti il tremore delle foglie a quello della persona spaventata nasce probabilmente dall'affinità tra la fragilità fisica espressa a livello vegetale e quella psicologica di chi ha paura.
- Tran tran: lòn ch'i faroma nen ancheuj i lo faroma doman = "Tran tran: quello che non faremo oggi lo faremo domani".
- Travaj ancaminà 'd vënner a finiss mal = "Lavoro iniziato di venerdì finisce male".
- Travaj ch'as fà per forsa a val nen na scòrsa = "Lavoro che si fa per forza non vale una scorza".
- Travaj ch'as fasa për fòrsa a val nen na scòrsa = "Il lavoro fatto per forza non vale una scorza".
- Travaj da caval e mangé da canarin a ban nen bin = "Lavoro da cavallo e mangiate da canarino non vanno bene".
- Travaj dël pento = "Lavoro del pettine". Si riferisce a un lavoro fatto male o che non vale nulla. Risalirebbe all'epoca napoleonica, quando venne coniata una moneta da un soldo. Da una parte recava la testa dell'imperatore, dall'altra una corona che aveva un aspetto simile a un pettine. Il soldo con la dipartita di Napoleone venne ben presto messo fuori corso e perse valore. Di qui l'espressione usata in senso dispregiativo. Secondo un'altra interpretazione, la locuzione nascerebbe dalle imprese tessili in cui l'operazione di pettinare i filati era una delle più umili o modeste: l'attività sarebbe pertanto diventata il simbolo di un lavoro di poco valore. Oppure deriverebbe dai capelli di seconda mano che le raccoglitrici della Valle Elva acquistavano dalle donne che traevano dal pettine i capelli, anziché tagliarli dalle chiome.
- Travaj fàit a s-ciancon = "Lavoro fatto a strappi".
- Travajé a giornà = "Lavorare a giornate". La misura agraria usata un tempo in Piemonte era la giornata che equivale a 3.810 metri quadrati. L'origine del nome deriva dalla corrispondenza con la quantità di terreno arabile mediamente con una coppia di buoi in una giornata. Il pagamento veniva effettuato in base alle giornate che si riuscivano a coltivare in un anno.
- Travajé a l'é nen noios come divertisse = "Lavorare non è noioso come divertirsi".
- Travajé con ij pé = "Lavorare coni piedi". Indica il lavorare svogliato, eseguito senza cura e attenzione, come se non ci si prendesse nemmeno il disturbo di utilizzare le mani.
- Travajé për ël diav = "Lavorare per il diavolo", col guadagno che va ad altri.
- Travajé për la cesa = "Lavorare per la chiesa", gratis
- Travasa pa 'l vin a la lun-a neuva = "Non travasare io vino alla luna nuova".
- Travet = Il personaggio è stato reso celebre dalla commedia di Bersezio «Le miserie 'd monsò Travet». Rappresentata per la prima volta nel 1863. Siamo alla vigilia del trasferimento della capitale da Torino a Firenze. La commedia si rivelò un capolavoro del teatro dialettale. Racconta la storia del povero signor Ignazio Travet. veramente il personaggio si chiamava Travetti. Malvisto e misconosciuto dal capufficio, angariato e deriso dai colleghi, maltrattato dalla moglie. Le sue miserie morali e materiali sono dovute in gran parte al destino, ma anche molto al carattere remissivo, alla incapacità di reagire, che rende Monsù Travet vittima e prigioniero di uno sbagliato concetto del decoro. Oggi si definisce travet l'uomo che tira la carretta, è buono ma di intelligenza mediocre, non sa o non vuole affrontare le situazioni, non ha fortuna ma neppure spirito di iniziativa.
- Travonde la cica = "Trangugiare il mozzicone di sigaretta", chi "mastica amaro": d'altro canto trangugiare un mozzicone di sigaretta è una sensazione tutt'altro che piacevole.
- Tre bele còse 'nt cost mondass: ël sol, la lun-a e 'l temp ëd pas = "Tre belle cose in questo mondaccio: il sole, la luna e il tempo di pace".
- Tre còse a fan l'òm rich: guadagné e nen spende, promëtte e nen atende, aceté e nen rende = "Tre cose fanno l'uomo ricco: guadagnare e non spendere, promettere e non mantenere, accettare e non ricambiare".
- Tre còse a fan l'òm rich: guadahmé e nen ëspende, promëtte e nen atende, aceté e nen rende = "Tre cose fanno l'uomo ricco: guadagnare e non spendere, promettere e non mantenetr, accettare e non rendere".
- Tre còse a ven-o 'nt na ca (o an sa) sensa ciamèje: veciaja, débit e mòrt = "Tre cose vengono in una casa senza chiamarle: vecchiaia, debiti e morte".
- Tre còse dolorose ant na famija: ël fornel ch'a fuma, 'l cuvercc ch'ha pieuv, la fomna ch'a crìja = "Tre cose dolorose in una famiglia: il fornello che fa fumo (in casa), il tetto (da cui) piove, la moglie che strilla".
- Tre fije e na mare, quatr diav për un pare = Tre figlie ed una madre, quattro diavoli per un padre.
- Tre fomne e 'n can a fan la fera d'Orbassan = "Tre donne ed un cane fanno la fiera d'Orbassano".
- Tre nebie a fan na pieuva, tre pieuve 'n temporal e tre feste da bal na cativa fomna = "Tre nebbie fanno una pioggia, tre piogge un temporale e tre feste da ballo fanno una cattiva donna".
- Tre tramud a valo come un feu = "Tre traslochi valgono come un incendio", come cambiar casa sia faticoso e costi parecchia fatica e danari: quando uno deve sopportare tre traslochi, subisce tanto danno come se la casa gli venisse bruciata.
- Tre volte bon a fà cojon = Capace solo di fare il coglione, tre volte coglione!
- Trìfola 'd Condòve = "Tartufo di Condove". Indica genericamente la patata e il riferimento a Condove si lega al fatto che quella è sempre stata un zona idonea alla coltivazione dei tuberi. La qualità piatlina, oggi praticamente scomparsa, era molto apprezzata sia per il sapore, sia per la tenerezza della pasta; la forma e il suo colore ricordavano peraltro quello del prelibato tartufo.
- Trigomiro = intrigo.con l'aggiunta di una strana storpiatura che qualcuno ha voluto creare, dando vita a un'espressione divertente e nello stesso tempo molto indicativa: il pasticcione che ha ordito l'intrigo è finito lui stesso invischiato nella ragnatela.
- Trist a chi s'arvòlta a chi a l'é pì potent che chiel = "Guai a chi si ribella a chi è più potente di lui".
- Trist a col ann che 'l Corpos Dòmini a ven a San Gioan = "Guai a quell'anno in cui il Corpus Domini cade a San Giovanni" (24 giugno). Sovrapposizioni "pericolose"!
- Trist col caval ch'a va contra lë spron = "Guai a quel cavallo che va contro lo sperone".
- Trist col mercà ch'a l'ha la festa davzin = "Triste quel mercato che ha la festa vicina".
- Tròp bontemp a scassa 'l fra dal convent = "Troppa vita allegra scaccia il frate dal convento".
- Tròpa carn al feu a cheus nen = "Troppa carne al fuoco non cuoce".
- Tròpe cortesìe a spusso d'angann = "Troppe cortesie puzzano di inganno".
- Tròpe sodisfassion a gavo le veuje = "Troppe soddisfazioni tolgono le voglie".
- Tròpi cusiné a guasto la cusin-a = "Troppi cuochi guastano la cucina".
- Trové 'd rampin = "Trovare dei chiodi a gancio", cercare dei pretesti.
- Trové Gesù Bambin ant l'òrt = "Trovare Gesù Bambino nell'orto". Trovare Gesù Bambino nell'orto, mentre ci si appresta ad andare a raccogliere qualche verdura, sarebbe un vero colpo di fortuna. Anzi, un miracolo. Ecco dunque un'allegoria per indicare la buona sorte, arrivata probabilmente all'improvviso
- Trové 'l cantin giust = "Trovare il cantino giusto", è riferito a chi sa muoversi con abilità e destrezza, trovando la via giusta fra gli innumerevoli ostacoli e difficoltà che la vita ci riserva lungo il cammino.
- Trové la Mérica = "Trovare l'America". L'America entra nei modi di dire come mitica terra di ricchezza dove chiunque poteva trovar fortuna. Trovarsi improvvisamente in una situazione di grande floridezza economica, quasi sempre con scarso merito.
- Trové le pere dure = "Trovare le pietre dure". La locuzione indìca di solito chi si trova in gravi difficoltà nello svolgere un incarico. Ma può essere adattata anche a chi deve affrontare una prova o un esame di fronte ad una severa commissione. Una situazione ostica, proprio come le pietre, la cui principale caratteristica è quella di essere dure, difficili da scalfire.
- Trové un cit sota ij còj = "Trovare un bimbo sotto i cavoli". Un tempo, per il pudore che caratterizzava gli ambienti contadini, molto caratterizzati dalla morale cattolica, si raccontava ai bambini che i neonati venissero al mondo sotto le foglie di cavolo, in altri casi che a portarli fossero le cicogne. Quindi il trovare il neonato nell'orto era equivalente di partorire.
- Trové un grop = "Trovare un nodo". Quando una sega trova un nodo del legno il rumore si fa stridulo, quasi rabbioso. L'accostamento, in questo caso, è a chi dorme russando in maniera sonora e ci ricorda il rumore caratteristico della falegnameria.
- Trovesse 'nt j'ambreuj = "Trovarsi negli impicci", quando ci si trova in difficoltà, magari a causa di qualche imbroglio o semplicemente impiccio dovuto a incomprensioni, burocrazia, azzardo o quant'altro.
- Trovesse 'nt la bagna = Trovarsi in cattive acque come la carne nell'intingolo, pronta ad essere mangiata.
- Trute 'd Vian-a = "Trote di Avigliana". Questo detto nasce da una leggenda secondo cui per evitare di dover osservare il digiuno, i monaci di Avigliana gettavano vitelli nel lago ritirandoli come pesci. Dunque, stanno ad indicare i vitelli, anche se in senso metaforico alludono a quelle persone che dimostrano eccessiva modestia, quando invece sono ricche o intelligenti, sicuramente abili negli affari.
- Tupin = Stupido. il pignattino a un manico in terracotta, ma anche il pitale usato per la raccolta dell'urina durante la notte. Per estensione, l'uso come parolaccia o offesa, indica una persona che è considerata alla stregua di un contenitore per la pipì, ma anche "cocciuta, stupida" se riferito al pignattino di coccio.
- Turch e mòro = "Turco e moro". Indica un uomo spietato, brutale e si rifà al modo di dire francese Traiter de turc more = Trattare con il massimo rigore., fondato sul fatto che i turchi e i mori nelle loro guerre non conoscevano pietà.
- Turcimané = Si rifà alla voce turcimanno, cioè chi aveva funzioni di interprete tra gli europei e i popoli del vicino oriente, disponibili a influenzare le trattative dietro a lauti compensi. In tal senso, significa: ingannare, trarre in errore con malizia.
- Turinèis fàuss e cortèis = "Torinesi falsi e cortesi", una cerimoniosità di facciata, un'umiltà che lo faceva sembrare, appunto, "falso e cortese".
- Tut a l'é bon dël crin, fin-a j'ongin = "Tutto è buono del maiale, persino le unghie".
- Tut as rangia, fòra l'òss dël còl = "Tutto si aggiusta, meno l'osso del collo".
- Tut camp o tut pra = "O tutto campo o tutto prato".
- Tut sùbit = "Tutto subito". Di fatto il suo significato non è mai in senso letterale, ma suona piuttosto come "sulle prime, di primo acchito".
- Tute j'erbe dla prima a van bin ant la pèila = "Tutte le erbe primaverili sono buone nella pentola".
- Tute le ca a l'han soa crus = "Tutte le case hanno la loro croce".
- Tute le còse a ven-o a taj, fin-a j'onge a plé l'aj = "Tutte le cose servono: persino le unghie a pelare l'aglio".
- Tute le fomne a son fije d'eva = "Tutte le donne sono figlie d'Eva", ne riproducono il carattere e le azioni.
- Tute le mòrt a l'han soa scusa = "Tutte le morti hanno la loro ragione".
- Tute le question a ven-o da la division = "Tutte le questioni vengono dalla divisione".
- Tute le volte ch'as rij as gava 'n ciò da la cassia da mòrt = Ridere fa bene: ogni volta che si ride si toglie un chiodo dalla propria cassa da morto.
- Tute le vòlte ch'as rij, as gava 'n ciò da la cassia = "Tutte le volte che si ride si toglie un chiodo dalla cassa".
- Tuti a deuv travajé o con la man o con la testa = "Tutti devono lavorare, o con la mano o con la testa".
- Tuti a gòdo a vëdde ij mat an piassa, ma ch'a sio nen ëd soa rassa = "Tutti si divertono a vedere i matti in piazza, basta che non siano dei propri parenti".
- Tuti a l'han ij sò sagrin = "Tutti hanno i propri dispiaceri".
- Tuti a nasso piorand e gnun a meur rijend = "Tutti nascono piangendo e nessuno muore ridendo".
- Tuti a san lòn ch'a beuj a soa ca = "Tutti sanno ciò che bolle in casa loro".
- Tuti a son an gamba quand ël nemis a scapa = "Tutti sono in gamba quando il nemico scappa".
- Tuti a son bon a regolé la fomna a ciance = "Tutti sono bravi a parole a dirigere la propria moglie".
- Tuti a veulo avèj rason, anche col ch'a l'é an përzon = "Tutti vogliono avere ragione, anche quello che sta in prigione".
- Tuti as lamento, ma gnun a veul meuire = "Tutti si lamentano, ma nessuno vuol morire".
- Tuti i nas a së smijo e a-i na j'é nen doi l'istess = "Tutti i nasi si assomigliano e non ce ne sono due uguali".
- Tuti i podoma falì = "Tutti possiamo sbagliare".
- Tuti ij bòsch a l'han soa càmola = "Tutti i legni hanno i loro tarli".
- Tuti ij can a bogio la coa e tuti ij cojon a dijo la soa = ""Tutti i cani muovono la coda e tutti i coglioni dicono la loro".
- Tuti ij can ch'a bogio la coa as guadagno da vive = "Tutti i cani che muovono la cosa si guadagnano da vivere".
- Tuti ij dì a n'anventa un-a për cambié sagrin = "Tutti i giorni ne inventa una per cambiare preoccupazione".
- Tuti ij di a-i na passa un = "Tutti i giorni ne passa uno". Una persona anziana alla quale magari si è appena fatto un complimento per la buona salute e il bell'aspetto.
- Tuti ij gust a son nen a la menta = "Non tutti i gusti sono alla menta". Nella parlata popolare si preferisce porre prima la negazione: Nen tuti ij gust a son a la menta. Alla locuzione sovente ci si sente rispondere: "Meno male, altrimenti la vita sarebbe alquanto noiosa!'".
- Tuti ij maj a l'han soa scusa = Tutti i mali hanno la propria scusa.
- Tuti ij mat a son savi quand ch'a taso = "Tutti i matti sono savi quando tacciono".
- Tuti ij mat a veulo dé 'd consèj = "Tutti i matti vogliono dare consigli".
- Tuti ij pòch a fan prò = "Tutti i pochi fanno vantaggio".