Discussion:La Bibia piemontèisa

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D'utiss ùtij[modifiché]

Bìbia Piemontèisa o Bìbia an piemontèis?[modifiché]

Na pùles che a l'é vnume bele adess: treuve nen che "Bìbia Piemontèisa" a daga 'l sens ëd n'àutra Bìbia "a part?" Major Galin-a (ciaciarade) 18:00, 13 dzè 2022 (CET)[rispondi]

Nòstre publicassion[modifiché]

Ij lìber chì'i l'oma publicà dla Bìbia piemontèisa a l'otòber 2023

I podreve caté nòstri lìber ambelessì: https://www.amazon.it/dp/B0C6V6NCX3?binding=paperback&ref=dbs_dp_sirpi Pcastellina (ciaciarade) 11:00, 9 otó 2023 (CEST)[rispondi]

Recensione di Giuseppe Goria[modifiché]

Una recensione di Giuseppe Goria për la Ca dë Studi Piemontèis in Notiziario bibliografico 2023: recensioni e segnalazioni

Il pluridecennale lavoro di traduzione delle Scritture in piemontese ebbe inizio sulle pagine del “Musicalbrandé” (diretto da Alfredo Nicola) a metà degli anni ’80, grazie all’impegno del solo Mario Gallina. Quando il trimestrale cessò le pubblicazioni il testimone passò a “La Slòira”. Come saggio di quanto stava maturando, nel 1987 uscì un volume, per i tipi di Mario Gros, che raccoglieva la Genesi nella versione di Gallina e l’Apocalisse in quella di Camillo Brero. Precedenti illustri (e ideale riferimento) erano le edizioni valdesi del sec. XIX, ma certamente altri erano gli intenti ed altre le metodologie di lavoro. I riformati piemontesi miravano, con il colportaggio e la predicazione, al proselitismo, soprattutto nelle aree linguisticamente affini. Le edizioni valdesi facevano riferimento alle versioni riformate francesi o alla Diodati in italiano. Di quei testi scrisse Arturo Genre nella prefazione alla ristampa del Testament Neuv dë Nossëgnour Gesu-Crist, nel 1986. Superata da tempo l’ottica del proselitismo, è necessario tuttavia mettere in rilievo la posizione “professante” dei traduttori/curatori (l’uno cattolico, l’altro pastore riformato) che vanno oltre la mera ricerca filologica per cercare nella parola la Parola, avvicinandosi in ciò al loro precursore Enrico Geymet. Già nelle prime righe dell’introduzione troviamo una parola-chiave in odore di Agostino e di Pascal: cheur. Il fine dell’opera è «parlé al cheur», parlare al cuore «dla nòstra gent»: un linguaggio che non sarebbe dispiaciuto a Camillo Brero, cattolico non estraneo ad altre operazioni ditraduzione.

Diversa dalle antiche posizioni riformate è l’ottica ecumenica, che dichiara appunto aver «rispetà la tradission ëstòrica dla magioransa dle bibie publicà da le cese cristiane e dle sinagòghe ebràiche an në spìrit ecuménich». Il porsi in questa visione è comunque proprio dello spirito che anima quest’opera, innanzitutto di approfondimento del rapporto personale con la fede e della capacità di ascoltare l’altro. La verità credo sia ormai intesa da cattolici e riformati come un disvelamento cui non si può accedere se non in condivisione.

I testi proposti fanno riferimento al lavoro editoriale scientifico della versione inglese della NET Bible (New English Translation) in comparazione con altre versioni illustri (p. es. La Bible de Jérusalem) e con gli originali. In effetti le note, spesso, accanto ai rimandi ad altri libri biblici, aggiungono il termine masoretico (nel caso del Vecchio Testamento) per ampliare le possibilità del provveduto lettore di ampliare ed approfondire il senso del suo studio. A tal proposito bisogna precisare che il lavoro sul Pentateuco è essenzialmente dovuto a Mario Gallina con la collaborazione di Giovanna Gribaudo.

La lingua che caratterizza questa versione è il piemontese standard, quello che viene abitualmente usato dalle principali pubblicazioni e dai migliori autori; con un occhio ad un lessico espunto da italianismi, e l’altro all’esigenza di avvicinare il lettore (si può giungere al suo cheur, far vibrare le corde dell’anima parlando una lingua stucchevole eodorosa di candela?) i curatori hanno realizzato un testo che si legge agevolmente per la sua vicinanza ad un buon parlato,sempre adeguato all’altezza degli argomenti.

Appare assurdo, oggi, quel rifiuto espresso nel 1931 da “La Riforma Italiana”, periodico protestante, che scriveva: «Le traduzioni dialettali non hanno alcuna efficacia ed utilità, anzi, per essere più precisi e veritieri, discreditano la S. Scrittura, se pure non valgono a spargere il ridicolo intorno ad essa».

Appaiono in questa occasione ancor più sagge le parole di Arturo Genre nella citata introduzione del lontano 1986: «I tempi sembrano insomma maturi perché, in accordo con il generale fermento di iniziative in favore della (ri)valorizzazione delle lingue minoritarie, si riconosca ai fedeli di ogni confessione che lo desiderano e dunque anche ai piemontesi [...] il diritto [...] di servirsi della propria lingua madre senza limitazioni che non siano di natura pratica, senza dovere cioè neppure nelle occasioni religiose ufficiali “strompé ‘d brut costa manera natural ëd cominiché con ël Creator”».

Genre citava in corsivo un articolo del “Caval ‘d brons” che entrava nel dibattito. Ricordando la lucidità del dialettologo, nonché traduttore in occitano di un Evangelo non è possibile che allinearsi su queste posizioni, ed auspicare alla fatica di Castlin-a, Galin-a e Gribàud una meritata diffusione e un altrettanto meritato riconoscimento.

La Bibia an lenga piemontèisa. Ël Pentateuch (la Torà); Ij quatr evangèj canònich; J’At dj’Apòstoj e j’epìstole dj’apòstoj Giaco, Pero e Giuda; Jë scrit ëd l’apòstol Gioann; J’epìstole dl’apòstol Pàul, tradotti da Majo Galin-a e Pàul E. Castlin-a, s.l., Edizione Tempo di Riforma, 2023, 5 vols., pp. 478, pp. 344, pp. 150, pp. 154, pp. 262.

Giuseppe Goria Pcastellina (ciaciarade) 16:50, 2 gen 2024 (CET)[rispondi]