Lenga piemontèisa/Linguistica piemontese/segni diacritici
Apostrofi, accenti, segni diacritici e d’interpunzione, elementi di fonica e compitazione
[modifiché]Ritornando brevemente al discorso sulla lingua italiana, è interessante notare che è usato poco o nulla l’accento fonico grave e acuto sopra le vocali e – o, mentre, al contrario, si dovrebbe segnare, perché l’accento indica due suoni diversi delle vocali e differenzia un termine dall’altro; si dice che sono omografe. Esempi:
con é (accento acuto) con è (accento grave) con ó (accento acuto) con ò (accento grave)
accétta = scure accètta = verbo accettare fósse = verbo essere fòsse = buche, scavi
légge = norma, regola lègge = verbo leggere cólto = istruito còlto = verbo cogliere.
Nel metodo d’insegnamento approssimativo e superficiale che adotta oggi la scuola, queste differenze neppure si possono cogliere, perché si parla un italiano “moderno”, ovvero, condito con aggettivi e termini d’origine incerta e che troppo spesso sconfinano nel triviale. Nel piemontese scritto gli accenti sono una necessità, poiché nella parlata indicano suono e senso differente persino nel medesimo termine.
Esempio: il sostantivo son in italiano significa suono; ma son è anche la prima persona singolare dell’indicativo presente del verbo essere (mi i son); tuttavia se dico e scrivo sòn (con l’accento grave) diventa un aggettivo dimostrativo, che in italiano vuol dire questo.
L’accento fonico ha completamente trasformato il senso del termine.
Dopo questa necessaria digressione, in definitiva, solo una buona pratica serve per apprendere la modulazione dei lemmi nelle diverse forme eufoniche della lingua parlata, (la branca della fonetica percettiva), del lessico, per capire l’importanza e il significato degli apostrofi, degli accenti e altri segni diacritici della lingua scritta; ovvero la “koiné” (termine che deriva dal greco διακρίνω, e significa “distinguere”).
Significato di alcuni termini tecnici d’uso frequente in linguistica.
1) Elisione = soppressione della vocale finale atona di una parola dianzi alla vocale iniziale della parola seguente, es.: l’albero. Si appone con il segno grafico detto apostrofo (’).
2) Cesura = separazione, pausa ritmica.
3) Eufonìa = l’incontro armonico di due suoni.
Elementi che distinguono la lingua piemontese.
Il Piemonte ha visto e subito secolari scorribande con popoli di passaggio o in guerra soprattutto attraverso la via Francigena, lasciando nel nostro territorio un’eredità linguistica molto variegata che ha dato al piemontese le peculiarità di cui oggi fruisce quale lingua neolatina occidentale, mentre l’italiano è lingua neolatina orientale, secondo la linea di Wartburg.
La linea di Wartburg
Nella sua opera Die Ausgliederung der Romanische Sprachräume (La disarticolazione delle zone linguistiche romanze) del 1950, l’eminente linguista tedesco Walter von Wartburg analizza diverse importanti discriminanti linguistiche, fra le quali:
-la conservazione della -s finale
-la caduta delle occlusive sorde intervocaliche c, p, t
-la palatizzazione di ca- e ga-
Nell’ambito delle lingue romanze questi fenomeni si presentano a occidente (ponente) ma non a oriente (levante) e quindi permettono di tracciare in modo sufficientemente preciso una linea che costituisce il confine tra due grandi blocchi linguistici diversi fra loro: quello delle lingue neolatine occidentali e quello delle lingue neolatine orientali.
In particolare, il piemontese e le altre parlate padane risultano comprese nel blocco occidentale e sono pertanto nettamente separate dall’italiano propriamente detto e dai suoi dialetti.
Storicamente parlando, il latino, dal quale la nostra lingua trae una parte cospicua, ha avuto cambiamenti ben più profondi che in altre regioni italiane, per cui, il piemontese nella sua razionalità, ha fonemi più brevi delle corrispondenti parole in italiano.
Esempio: finocchio = fnoj; macellaio = maslé; pelare = plé; pidocchio = poj; tagliare = tajé, la cui origine latina porta: fenuculum, macellarius, pilare, peduculus, taliare.
In piemontese sono cadute tutte le vocali finali atone del latino, meno la a dei femminili, e le consonanti occlusive intervocaliche si sono lenite a volte fino alla caduta, mentre non esistono consonanti doppie propriamente dette.
Alcuni segni grafici, utili da conoscere nel piemontese e usati nella maggioranza delle lingue indoeuropee, sono i segni diacritici (da l'aggettivo διακριτικός (diakritikòs), cioè "separativo, distintivo"). Vale una regola generale per semplificare e comprendere meglio i segni grafici e i grafemi; essa ci insegna che servono a tradurre nello scritto i diversi suoni di una lingua (in queste nozioni non si parla dell’IPA, che è tutt’altra cosa).
I segni diacritici compaiono in genere al di sopra o al di sotto della lettera cui si riferiscono ma vi sono casi in cui la posizione cambia; è un segno aggiunto a una lettera per modificarne la pronuncia o per distinguere il significato di parole simili.
Il vero diacritico non fa parte della lettera, come ad esempio l’accento nel piemontese della vocale e, è, é, non sono tre lettere diverse ma la stessa e con accento grave e accento acuto, come la e con la dieresi “ ё ”, molto usata in piemontese e detta anche ё muta.
Non tutti i segni staccati dal corpo principale della lettera hanno un uso diacritico, ad esempio i punti delle lettere i e j sono parte integrante della lettera, e non ne rappresentano una variazione.
L’accento (che non è un segno diacritico), nella lingua piemontese richiede di un chiarimento.
Come detto pocanzi, l’accento grave ( ‵ ) da un suono aperto come nella parola guèra, mentre quello acuto (ʹ ) da un suono chiuso come gené; inoltre in piemontese con il sostantivo accento (acent) si indica il segno grafico, mentre con il sostantivo acsan si indica la cadenza linguistica. Esempio:
-Giacomo parla con accento francese.
L’apostrofo. Deriva dalla lingua greca e latina; è detto elisione o sinalefe.
Quand’è elisione, è sempre obbligatorio (Nel piemontese è un segno diacritico).
In piemontese l’apostrofo sostituisce la vocale dell’articolo ёl, un e le preposizioni an, ёd. Attenzione; tuttavia non consiste errore mantenere la vocale; si tratta di una variante; un’esigenza eufonica della “parlata” che serve a dare seguito e armonia alla frase o al verso. L’elisione della ё dà alla frase continuità, mentre nella variante la lettura ha una sospensione, una sorta di pausa, tutto questo se la parola precedente termina con una vocale. Alcuni esempi:
-Mi i l’hai ‘d pom ross. Variante: mi i l’hai ёd pom ross.
-Mi i l’hai damanca ‘d sòld Variante: mi i l’hai damanca ёd sòld.
-Mè quàder a l’é ‘l pì bel. Variante: mè quader a l’é ёl pì bel.
-Col baron a l’é ‘l pì gròss. Variante: col baron a l’é ёl pì gròss.
-Andé ‘n biciclёtta. Variante: andé an biciclёtta.
-Mi i vado ‘n barca. Variante: mi i vado an barca.
-Lor a l’han fnì ‘n travaj. Variante: lor a l’han finì un travaj.
-I vado a caté ‘n can. Variante: i vado a caté un can.
Se la parola precedente termina in una consonante cade l’elisione e l’articolo o preposizione successiva si deve scrivere completa (per un’esigenza eufonica). Esempi:
-Percors cultural ёd cost ёstudios.
-L’ordin cronològich ёd la lista.
Può essere anche di troncamento, usato in italiano, ad esempio po’, troncamento di poco; in piemontese si può scrivere (raramente) abbreviato in pò; in genere di usa pòch, con molte altre varianti, come indicato nei vocabolari e dizionari piemontesi. A volte può essere inteso quale segno d’interpunzione.
I segni d’interpunzione, usati nelle lingue neolatine, quindi anche nel piemontese, servono a separare, a evidenziare parole o gruppi di parole.
Sono molti, i più comuni sono: punto o punto fermo, virgola, punto e virgola, due punti, punto esclamativo, punto interrogativo e, per estensione, virgolette, lineetta, parentesi.
La cesura: separazione; dal latino taglio ritmico.
La cesura sembra che tagli il verso in due parti, infatti, in questa strofa di Norberto Rosa tolta dalla poesia «Ël progress», in versi ottonari, si può notare come la cesura divida a metà giusta il verso.
Chi l’ha dit / che costa tèra
l’é n’inmensa / gabia ‘d mat
a l’ha dit / na còsa vera
come doi / e doi fan quat.
L’esempio illustra un tipo di cesura, il più semplice usato, per saperne di più vedere in “ Metrica e Prosodìa dla poesìa piemontèisa” di Camillo Brero.
Maurizio Pipino, nella sua “Grammatica Piemontese” del 1783, fa un abbondante uso dei segni grafici e diacritici. Al CAPO II – Delle pronunzie piemontesi – Alle pagine dal 4 al 9 spiega l’uso di questi “segni” nelle vocali, proprio per attribuire alle lettere il diverso suono. Al CAPO III –Articoli, segnacasi, generi e declinazioni - Alle pagine da 14 alla 17, si può vedere come il Pipino ne faccia un largo uso, spinto dalla necessità di variare foneticamente i diversi suoni nella declinazione degli articoli e preposizioni in genere, usati nella parlata corrente.
Adotta l’uso della “tilde” sulla ñ spagnola; la “cediglia” sotto la ç francese ma anche sotto la ȩ, la semivocale che chiama “muta” come noi oggi (ma che segniamo con la dieresi sulla ё ). Ad esempio: le parole piemontesi nella Koinè moderna fёtta (fetta), e vёsco (vescovo), il Pipino le scrive con la cediglia sotto la e, fȩtta e vȩsco, pur tuttavia con pratica e acume eccezionali usa già l’apostrofo come elisione nello scritto: a l’é ‘ndurmì (è addormentato); a l’é ‘ndàit ( è andato).
Alcuni affermano che la grammatica del Pipino è superata; senza dubbio ha i suoi anni, piuttosto direi vecchia ma ancora oggi fondamentale per l’impostazione della lingua scritta in funzione al “parlato”. Le sue intuizioni ma soprattutto la conoscenza di altre lingue quali, il francese, lo spagnolo, fors’anche il tedesco e molto bene italiano e piemontese, gli ha permesso di produrre una grammatica che sarà imperitura, quale punto di riferimento base per la nostra koinè.
L’impostazione della grafia Pacotto-Viglongo, ufficializzata nel lontano 1930, ha permesso l’eliminazione di tutti questi segni grafici e diacritici (mantenendo la sola dieresi sulla ё e il trattino alla n- faucale e in altri casi che vedremo più avanti), semplificando al massimo lo scritto; non poteva essere fatto lavoro migliore.
Tuttavia il tempo ha dettato le sue ragioni e Camillo Brero (allievo prediletto di Pacòt), linguista, poeta e letterato sopraffino, lavorando sulle regole del suo maestro, ha studiato, migliorato e dato a noi oggi una grammatica piemontese completa, detta appunto “grafia storica Pacòt-Viglongo”, dal nome dei suoi fondatori. È usata per l’insegnamento della lingua nelle scuole e da tutti coloro che scrivono in piemontese.
Arturo Aly Belfàdel, un ben preparato studioso di lingua piemontese e non solo, il cui nome è rimasto, purtroppo, in qualche modo sconosciuto. (4 luglio 1872 – 6 luglio 1945). Aveva esercitato per 14 anni come medico condotto a Monastero Bormida in provincia di Asti e il suo mestiere di girovago fra la gente, aveva acceso in lui la curiosità per questa lingua piemontese dalle numerose varianti locali, tanto da immergersi in uno studio profondo per conoscerne e capire le più segrete sfumature. Il risultato è stato la nascita di una Grammatica molto dettagliata di 394 pagine, divisa in quattro parti: Ortografia, Fonologia, Grammatica e Sintassi.
Si tratta di un volume ben fatto, ricco di notizie e di un monumentale numero di vocaboli piemontesi e relative etimologie, con un’interpretazione grafica dei suoni tutta personale, che denota una quasi inarrivabile cultura linguistica ma più adatto agli studiosi dotti piuttosto che a docenti di livello scolastico, e a coloro che necessitano di uno strumento accessibile per imparare.
Aly-Belfàdel aveva avviato un rapporto con l’editore Viglongo, il quale, purtroppo, era già impegnato con Pacotto nella stesura della nuova grafia (che sarà poi quella definitiva), per cui l’editore, a malincuore, era stato costretto a rifiutare l’offerta.
Le vicissitudini professionali di medico condotto l’avevano costretto al trasferimento a Santa Maria di Sala, in provincia di Venezia, per cui tutti suoi rapporti si erano complicati, pur tuttavia la sua perspicacia era vincente e nel 1933 trovava la tipografia-cartoleria L. Guin in quel di Noale (Venezia) che pubblicava la sua Grammatica. La piccola tipografia purtroppo non aveva i mezzi per avviare un’adeguata promozione, un aspetto negativo molto grave che ne aveva inpedito la necessaria divulgazione. Per opportuna conoscenza l’alfabeto del Belfàdel consta di 32 suoni (o lettere), contro i 26 della grafia Pacotto-Viglongo (la Koiné).
Nel Capitolo ortografia e Ortoepia Aly-Belfàdel traccia il suo alfabeto:
a, b, c dolce, c duro, d, ė, ẹ , ë, f, g dolce, g duro, gn, h, i, j, l, m, n, ṅ,o, ô, ö, p, q, r, ṣ, ṡ, t, u, ŭ, ü, v.
Come si può osservare i segni grafici per indicare la diversità di pronuncia sono molti e creano confusione nella comune formulazione della parola.
Meglio evidenziati: (U. è l’abbreviazione d’Unicode).
ẹ = segno grafico: carattere codice U. 1EB9
ė = segno grafico: carattere codice U. 0117
ṅ = segno grafico: carattere codice U. 1E45; sta per nostra n- faucale es. : farin-a (fariṅa-Belfàdel).
ô = segno grafico: carattere codice U. 00F4
ö = segno grafico: carattere codice U. 00F6
ṣ = segno grafico: carattere codice U. 1E63
ṡ = segno grafico: carattere codice U. 1E61
ŭ = segno grafico: carattere codice U. 016D
ü = segno grafico: carattere codice U. 00FC
(Il segno “dieresis” sulla ë non è indicato perché usato anche nella nostra koiné).
Per comparazione riporto l’alfabeto nella nostra koiné piemontese di 26 lettere.
a, b, c, d, e. ë, f, g, h, i, j, l, m, n, n-, ò, o, p, q, r, s, t, u, v, eu, z.
Il gruppo vocalico o grafema eu si pronuncia alla francese u, ed è sempre tonica es,: feu, euli, seurte.
Avvertimento importante[1]
Il piemontese si parla, con alcune sfumature diverse, nelle pianure e nelle vallate alpine da Torino fino a Cuneo, a Asti, a Ivrea ed è spesso usato anche nei paesi del Monferrato, del Canavese del Biellese e altri che, pur rispettando la koiné, mantengono la loro varianti del piemontese. Nelle parlate locali si trovano dei suoni che mancano nel piemontese letterario. Considerando che sono segni grafici che si usano nelle varianti locali suddette, segniamo qui quelli più importanti e come si possono scrivere:
ò o chiusa canavesana e biellese, che corrisponde spesso a la o e a volte a la eu piemontese. Es.: biellese fiòr; piem., fior; canav. fòja; piem. feuja.
ts che corrisponde a la s sorda piemontese. Es: nella montagna biellese blëtza; piem. blëssa.
sc pronunciata all’italiana e che corrisponde alla s piemontese. Es.: biellese, scinch, scësta; piem., sinch, sësta.
ĝ (codice U. 011D) che si pronuncia come la j francese di jardin e corrisponde alla z o alla g del piemontese letterario. Es.: nella montagna biellese, ĝenĝiva, ĝent; piem. zanziva, gent.
n-n che corrisponde alla n- faucale piemontese e che si pronuncia come una n- faucale seguita da una n dentale. Es.: in monferrino bon-na; piem. bon-a.
ȓ (codice U. 0213) che si pronuncia arrotando la punta della lingua e può corrispondere tanto a la l come la r del piemontese letterario. Es,: monferrino e astigiano ȓa siȓa; piem. la sira.
Note
[modifiché]- ↑ Nozioni tratte da “Norme sulla grafia piemontese (koiné)” di Camillo Brero.