Lenga piemontèisa/Linguistica piemontese/Compendio/Secondo passo

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2) Le lingue indoeuropee e il latino[modifiché]

«Proprio in Europa, da una di queste lingue indoeuropee, ebbe origine il latino, che le conquiste dell’impero romano contribuirono a diffondere in mezzo mondo. Il processo evolutivo della lingua latina subì fasi alterne; l’affermazione avvenne quando all’inizio del secolo III a. C. Roma ebbe ragione dei galli, umbri, etruschi, sanniti. Momenti fondamentali per la storia del latino furono il secolo I a. C. con la normalizzazione ciceroniana; i primi anni del secolo III d. C. con la Constitutio Antoniniana di Caracalla e i primi anni del secolo IV d. C. con la riforma sociale e istituzionale di Diocleziano che decreta l’uso obbligatorio del latino.

In seguito, nella fase di decadenza dell’impero e venuta meno l’autorità centrale di Roma, ripresero vigore, specie nella lingua parlata, le tendenze proprie dei singoli popoli. Tale fenomeno si produsse in grado più o meno notevole nelle diverse regioni: la dove la romanizzazione era stata più profonda e più antica, come in Spagna e in Gallia, ebbero origine le lingue cosiddette “neolatine”; la dove essa era stata più superficiale e più duramente combattuta, riaffiorarono le antiche lingue locali, come avvenne in Britannia, in Germania e nella penisola balcanica.

Da questo latino in trasformazione nacquero le lingue romanze: italiano, francese, spagnolo, portoghese, rumeno, dalle quali, come accennato in precedenza, ebbero così origine le lingue “neolatine” (è dal latino volgare o popolare che nascono le lingue romanze, il latino classico è diverso da quello volgare). Guardando a casa nostra la documentazione scritta dell’uso linguistico cittadino, quale ci è pervenuta, ci fornisce preziose informazioni. La più immediata in dimensione massiccia, che non comporta eccezioni, è l’impiego del latino dell’uso medievale per ogni sorta di atti di cui si voglia tramandare e conservare notizia certa, ed è bene precisare che i corpi documentari si riferiscono prevalentemente a istituzioni religiose.

Questi atti già configurano la parlata di Torino, che secondo la classificazione moderna, possiamo definirla come un volgare latino di tipo gallo-italico nord-occidentale (vedi Nicolez de Turrin o Nicolèt ëd Turin, giullare che poetò tra la fine del sec. XII e la prima metà del sec. XIII)1.

Da notare il linguaggio (tuttavia è ancora impreciso definirlo quale “Torinese”) nel quale il “giullare” poetizza nella Provenza feudale»[1].

Interessante e più vivace è la strofa della tenzone che Nicoletto da Torino scambia con il giullare provenzale Joan d’Albusson. In questa cerca d’interpretare un sogno profetico di Joan che presentiva un intervento di Federico II nell’Italia settentrionale[2].

Joan d’Albusson e Nicoletto da Torino Gian d’Albisson e Nicolèt ëd Turin
«En Niccolet, d’un sognie qu’ieu sognava

Maravillios, una nuit, qe’m dormia,

Voil m’esplanez, qe molt m’espaventava:

Totz lo sogni’ es d’un’aigla, qe vevia

Devers Salern, sus per l’aire volan,

E tot qant es fugia li denan,

Si c’al seu senz encauzava e prendia,

C’om denant lei defendre no’s poiria».


Testo secondo Bertoni, “I trovatori d’Italia” p. 256.

Monsù Nicolèt, d’un seugn che mi im sugnava

maravijos, na neuit ch’i durmìa,

veuj ch’im ëspieghe, che motobin m’ëspaventava:

tut ël seugn a l’é ‘d n’àquila, e a vnisìa

da la part ëd Salern, su për l’ària an voland,

e tut a scapava ‘dnans a chila,

si ch’a sò sens a ciampairava e a pijava,

che gnun ëdnans a chila as podìa defende.


Traduzione letterale in lingua piemontese di B. Ross.


Testo secondo Bertoni, “I trovatori d’Italia” p. 256. Traduzione letterale in lingua piemontese di B. Ross.

La sua specificità nella diversità o la somiglianza con le altre parlate della regione presuppone un confronto non solo con i centri maggiori come: Asti, Vercelli, Ivrea Pinerolo, ma pure con Chieri, Carignano, Chivasso, Cirié, Avigliana, o la cerchia ancora più stretta di abitati. Attraverso l’analisi del dato antroponomastico e toponomastico in cui l’uso orale è fissato, si può ricostituire in una certa misura il lessico del volgare in uso a quel tempo e delineare una traccia dei vari fenomeni fonetici adottati».

Note[modifiché]

  1. Da la “Storia della letteratura piemontese” di Camillo Brero- Edit. Piemonte in Bancarella 1981- 1° Vol.
  2. Per Nicoletto da Torino traggo una sola strofa in lingua originale, con traduzione in grafia piemontese moderna.