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Claudio Santacroce/Il gergo dei vecchi mercati piemontesi

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Il gergo dei vecchi mercati piemontesi

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Un tempo la gente che frequentava i mercati, sia venditori che compratori, usava un suo gergo fatto di parole, motti, espressioni, modi di dire assai particolari e caratteristici. Alcuni di questi modi di dire sono poi entrati nel parlare comune anche fuori dei mercati, ma oggi, con l’uso sempre più ridotto del dialetto, non se ne conosce più l’origine.

Circa 2500 anni or sono, il filosofo greco Diogene di Sinope, detto il Cinico (quello che abitava in una botte e che un giorno invitò Alessandro Magno a togliersi da davanti perché gli oscurava il sole) definì il mercato come un luogo dove gli uomini possono ingannarsi l’un l’altro.

In questa piccola raccolta di modi di dire, un tempo in uso nei mercati piemontesi, si possono riscontrare alcuni indizi che il filosofo aveva qualche ragione.

[Vocabolo o frase in piemontese: significato letterale; significato gergale].

  • A fiama: a fiamma; merce pagabile sul venduto.
  • Andé giù dl’aqua: andare giù dell’acqua; cadere in miseria.
  • Arponcia: merce di scarso valore.
  • Arsigneul: usignolo; merce vecchia di magazzino.
  • Bala fàita: inganno fatto; affare concluso.
  • Balord: balordo; denaro falso.
  • Brecio: cosa di poco valore.
  • Brusé la sacòcia: bruciare la tasca; far pagar caro.
  • Cabriòlet: auto scoperta; assegno scoperto.
  • Chi veul a vada, chi a veul nen ch’a manda: chi vuole vada, chi non vuole mandi; gli affari si fanno di persona.
  • Dé dël cul an sla pera: dare del culo sulla pietra; far fallimento (chi falliva, per punizione veniva fatto sbattere col sedere nudo su una pietra davanti al popolo).
  • Dé man al trabuch: dar mano al trabucco (antica misura piemontese di m 3 circa); svendere per necessità.
  • Esse ’d bala: essere d’inganno; fare il contratto.
  • Esse a l’usoboé, essere alle grele: essere ridotto agli estremi, alle strette; essere al verde.
  • Farfala: farfalla; cambiale.
  • Fé blin blin: fare carezze, adulare; abbindolare il cliente.
  • Fé l’anghicio: far cilecca; esaltare il valore della merce.
  • Gancio, ruffiano, Pof: tonfo, Cròch: gancio; debito.
  • Lenga ‘d gat: lingua di gatto; cambiale.
  • Lenga: lingua, S-cianchet: strappetto, Stanghet: stanghetta; assegno.
  • Marcandé sutil: mercanteggiare fine; tirare sul prezzo.
  • Maròca: roba qualunque; merce di cattiva qualità.
  • Mincionè: beffare, truffare; comperare senza pagare.
  • Nen podèj gavé la ran-a dal pautass: non poter togliere la rana dal fango; non potersi liberare dai debiti.
  • Paciacioch: tonfo (nell’acqua); moneta di scarso valore.
  • Plucapsëte: strozzino, succhiaborse.
  • Pupé: succhiare il latte; guadagnare facilmente.
  • Rivé a l’alba dle mosche: arrivare all’alba delle mosche; arrivar tardi al mercato.
  • Roclò: antico mantello; cianfrusaglia, cosa di poco valore.
  • Rompe ’l còl a na còsa: rompere il collo a una cosa; vendere qualcosa a bassissimo prezzo.
  • Savèj bate a vireman: saper vincere a viraman (gioco infantile che si fa con noccioli di ciliegie); sapere contrattare bene.
  • Sbalsé ’nt la spèisa: sbalzare nelle spesa; eccedere nella spesa.
  • Sbologné: dare via oggetti difettosi; vendere la refurtiva.
  • Sciangai: Shanghai (città cinese); mercato nero.
  • Scuse le sacòcie: scucire le tasche, Dispiantè ‘l gran: spiantare il grano; tirar fuori i soldi.
  • Sensa ‘n pich: senza un soldo.
  • Sghiaròla: scivolata; cambiale.
  • Spende da pich: essere avari nella spesa.
  • Sùcher: zucchero; merce preziosa.
  • Tiré ’l ròch: tirare la pietra; tentare una richiesta di denaro.
  • Tiré fòra ’l mòrt: tirare fuori il morto; utilizzare il denaro di riserva.
  • Vende a bòta: vendere a botta; vendere a occhio, senza stare a stimare il valore della merce.
  • Vende a strassapat: vendere a buon mercato, a prezzi stracciati.